Die Hard – Un buon giorno per morire

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Die Hard – Un buon giorno per morire diretto da John Moore con Bruce Willis e Jai Courtney. Sono passati 25 anni dal primo Die Hard con l’agente John McClane impegnato a contrastare una banda di spietati terroristi nel modernissimo (all’epoca) grattacielo Nakatomi. Dopo un quarto di secolo e altri tre action-movies, è uscito nel 2013 anche il quinto film della saga. Se nei primi due episodi McClane dovette salvare sua moglie da gravi pericoli, nel quarto film toccò alla figlia il compito di essere messa a serio rischio. Mancava qualcuno? Pare di si. Per chiudere il cerchio, oggi l’agente di polizia John McClane viene a sapere che suo figlio, che non sente da anni, è in prigione in Russia. Dopo eclatanti avventure statunitensi, oggi l’azione si trasferisce proprio nell’ex Unione Sovietica. Il muscolato Jai Courtney è John McClane Jr. e, proprio come il padre, non disdegna super-spettacolari scene d’azione. Pare evidente che, nel caso il Signor Willis si fosse stancato di interpretare il poliziotto eroe, sia già pronto il degno (proprio degno?) successore. Sei anni dopo l’accettabile Die Hard – Vivere o Morire, ci troviamo di fronte ad un mezzo passo falso. Con uno script nè interessante nè accattivante, i due McClane devono affrontare una gang di cattivoni sovietici impegnati nel traffico di plutonio arricchito. Giunti fino al tetro scenario dell’ex centrale nucleare di Cernobyl, i due protagonisti dovranno superare avversità di ogni tipo fuggendo da minacciosi attacchi con armi automatiche e da elicotteri d’assalto. Tecnicamente ineccepibili le sequenze d’azione con spettacoli pirotecnici profusi in abbondanza. Quasi assenti le acute ironie presenti nei precedenti episodi. Un esercizio di tecnica più deflagrante che artistica. I personaggi non sono più persone ma solo strumenti e mezzi per poter dare lavoro a stunt-men ed esperti di effetti speciali. Non conta più la storia (o meglio: il suo raconto) ma solo il lato tecnico. Peccato.

Voto: 5

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