Senza Lasciare Traccia (Leave No Trace)

Senza Lasciare Traccia – la recensione

Un uomo e una ragazzina si aggirano in una foresta. Scelgono con cura delle erbe edibili, le cucinano su un focolare realizzato in un incavo della nuda terra. In mezzo agli alberi. Non sono lì per caso. Risulta evidente fin da subito che in quel posto ci vivono. Sono padre e figlia. Questo è l’incipit del film Senza lasciare traccia (Leave No Trace) diretto da Debra Granik e distribuito da Adler Entertainment. Senza Lasciare TracciaNon è necessario svelare molto altro della trama. Molti “perchè” troveranno soluzione nel corso della narrazione ma tantissimi altri non verranno apertamente spiegati.

Senza lasciare traccia è un film che non deve essere analizzato in modo esclusivamente razionale; ha bisogno di essere “vissuto” con spirito aperto. Occorre trattarlo come fosse un componimento poetico. Chi cercasse di costruirne una fredda parafrasi, perderebbe di vista la profondità dei numerosi significati reconditi. Basti solo sapere che Will (Ben Foster) è un ex soldato che ha scelto di vivere senza le comodità – ma nemmeno i limiti – della cosiddetta civiltà. Ha anche cresciuto la figlia seguendo i dettami e i ritmi della natura, addestrandola nelle arti della sopravvivenza. In realtà il loro giaciglio non è molto distante, geograficamente, dalla città di Portland sebbene il loro stile di vita sia lontano anni luce da quello dei cittadini “comuni”. Spesso sono i dettagli a fare la differenza. Per esempio: Will chiama la figlia col nomignolo Tom, quasi la considerasse un compagno nella missione della vita, un commilitone, e non una ragazzina, una figlia.

Il loro intenso rapporto appare ben più profondo di quanto possa essere un semplice legame famigliare. Sono anche complici, collaboratori, pari grado. Tom è una teenager a cui manca qualsiasi cosa eppure, per lei, questa situazione non sembra rappresentare un problema. Vive senza energia elettrica, in mezzo alla natura, ed ha imparato a cavarsela in qualsiasi situazione con un costante contatto col padre. Will non è solo un genitore premuroso ma anche un maestro per una ragazzina che non ha vita sociale pur dimostrando di essere tutt’altro che disadattata. Un apparente paradosso. Non servono lunghissimi dialoghi “alla Tarantino” per farci comprendere tutto ciò. La poesia dell’ambiente naturale, i gesti misurati ed esperti dei protagonisti, le premure reciproche e le poche, calibrate parole di una sceneggiatura delicata, ci conducono alla comprensione del tutto.

Il tema della ragazzina costretta a crescere in fretta è molto caro alla regista Debra Granik che realizzò anche il pluripremiato Un Gelido Inverno – Winter’s Bone nel 2011 con un’allora ventenne Jennifer Lawrence per protagonista. Questa volta è Thomasin McKenzie la giovanissima interprete femminile che ci regala una prova da attrice navigata. Col suo sguardo penetrante e una recitazione dalla tenerezza disarmante (condita da lunghi ed eloquenti silenzi teatrali) Thomasin McKenzie è una piacevolissima sorpresa. Se il buongiorno si vede dal mattino, sarà un nome da tenere d’occhio per il cinema del futuro.
VOTO: 7+

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