Isabelle – la recensione

Isabelle

Isabelle – la recensione

“Il film Isabelle di Mirko Locatelli, al cinema dal 29 novembre 2018, è distribuito da Strani Film in collaborazione con Mariposa Cinematografica. Al centro della storia l’incontro tra una donna e un ragazzo, legati da un avvenimento che sconvolgerà le loro vite.”

Questo è il claim del comunicato stampa ufficiale. Strano ma vero: la sinossi dell’intero film è davvero tutta riassumibile in queste poche parole. Aggiungiamo solo che Isabelle è una donna francese trapiantata in Italia da decenni. Abita da sola in una bella casa con giardino nelle campagne triestine ed ha un impiego di prestigio. Una vita agiata. Il figlio Jérôme risiede in Francia e sta per renderla nonna. Sembra che tutto fili liscio fino a che un incontro fatale svela qualcosa di inaspettato. Il film è drammatico ed ha una protagonista assoluta: la stessa Isabelle. L’interprete è Ariane Ascaride. Un frammento di vita di un frammento di famiglia senza un vero inizio e con una fine tutta da immaginare. Un’incompiuta, un non-finito, qualcosa che ti lascia uno strano sapore in bocca. Come una torta senza ciliegina. Un film ovattato, come fosse compresso in una grande bolla di sapone. Pare che voglia esplodere in qualsiasi momento e, invece, tradisce le attese. Non decolla mai. Il fascino bucolico delle immagini di campagna e l’aria salmastra che sembra di respirare osservando il mare costituiscono il nocciolo “buono” del film. Le interpretazioni non convincenti di tutto il cast e un racconto scarnificato, non senza lacune, ne abbassano notevolmente la qualità generale. Nel suo complesso l’impianto generale ricorda, a tratti, il cinema d’autore rumeno come 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni che vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 2007 oppure Il Caso Kerenes che vinse l’Orso d’Oro a Berlino nel 2013. Probabilmente il regista Mirko Locatelli si è ispirato al primo per la forma e al secondo per il contenuto. Il risultato rimane, però, ben al di sotto del livello dei due film citati. Altra nota dolente è l’assenza di un adeguato tappeto musicale. La scelta di non scegliere – passateci il gioco di parole – nessuna vera colonna sonora porta con sé una scommessa ardita: riuscire a catturare l’attenzione grazie ad una sceneggiatura di ferro ed interpretazioni magistrali. In questo caso la scommessa non è stata vinta appieno. Ammirevole e coraggiosa la decisione di registrare l’audio in presa diretta. Tecnicamente è più complicato del ridoppiaggio in studio e rende molto realistico il fluire della narrazione. Peccato che il suono della brezza campagnola, dei passi sul selciato, delle porte e finestre che sbattono e quant’altro non siano sufficienti per la buona riuscita del film. La debolezza generalizzata avrebbe, forse, potuto rinforzarsi con un robusto supporto di una buona musica. Il gravoso compito di sottolineare la drammaticità e l’antinomia interiore viene caricato per intero sulle spalle della protagonista che non riesce a reggerne il peso. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Giuditta Tarantelli. Il cast è completato da Robinson Stévenin (Jérôme) e Samuele Vessio (il giovane Davide).
Voto 5.

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