Il Verdetto – The Children Act

Il Verdetto

Il Verdetto – The Children Act

Ian McEwan è l’autore del libro La Ballata di Adam Henry edito in Italia da Einaudi ed è anche lo sceneggiatore del film basato sul medesimo romanzo: Il Verdetto – The Children Act. Un film drammatico con la straordinaria Emma Thompson nei panni della protagonista assoluta: il giudice Fiona Maye a cui è demandato un compito molto delicato.

La Maye è chiamata a prendere importanti decisioni in casi particolarmente scottanti. La giustizia interviene quando un minorenne abbia necessità di terapie urgenti ma rischiose e i genitori si manifestino contrari alle decisioni dei medici. È in queste occasioni che viene richiesto l’intervento di un giudice dell’Alta Corte affinché emetta un verdetto per decidere sul da farsi. Fiona Maye è devotissima al suo lavoro. Talmente coinvolta dalle cause a lei demandate al punto da trascurare la vita familiare. Senza figli – non ha mai avuto il tempo per pensarci – e con un marito (Stanley Tucci) col quale non ha più intimità da mesi. Dopotutto… “dopo vent’anni di matrimonio si diventa come fratelli”. Ci penserà una causa particolare a scuoterla dal profondo. Un terremoto interiore che farà breccia nell’animo ferreo di chi deve giudicare “non in base alla morale ma in base alla Legge”.

Adam è un ragazzo di diciassette anni malato di leucemia. I medici hanno stabilito che le terapie debbano essere coadiuvate da trasfusioni di sangue. Sia Adam che i suoi genitori sono Testimoni di Geova e quindi si oppongono alla trasfusione in quanto contraria al loro credo religioso. Senza tali trasfusioni Adam sarà costretto a sopportare atroci sofferenze e/o morte quasi certa. L’ospedale ricorre così alla Giustizia. La decisione da prendere sarà foriera di conseguenze impreviste per il giudice Fiona Maye.

Il giovane Adam è interpretato da Fionn Whitehead, già protagonista del capolavoro di Christopher Nolan: Dunkirk. L’intensità interpretativa dei tre attori principali supporta saldamente l’impianto filmico nel suo complesso. La melodrammaticità della vicenda riesce a non cadere nella trappola della retorica. Una costruzione generale che guida lo sguardo dello spettatore verso una direzione non indicata con certezza. Vengono poste delle domande ma non si restituiscono risposte nette. Se il giudice, per il suo lavoro, è costretto ad emettere una sentenza, tuttavia il film non si comporta allo stesso modo. Lascia una relativa libertà di interpretazione. Nelle pieghe della sceneggiatura si nascondono indizi che possono confutare l’una o l’altra tesi. Solo nel pre-finale ci si esprime, finalmente, in modo più chiaro. Questo afflato di libertà depone, tuttavia, a favore del film.

L’altra faccia della medaglia mostra, invece, il difetto maggiore del racconto: non si scava in profondità. Si lanciano sassolini e poi si nasconde la mano. Prima si costruisce un solido edificio poi si lasciano intravedere crepe nel muro. Il gioco della costruzione e della destrutturazione. Un inseguirsi continuo che permette di riflettere su cosa possa essere definito “giusto” oppure “sbagliato”. Non è la prima volta che il regista Richard Eyre tocca temi legati alla morale. Lo fece già nel 2007 con Diario di uno scandalo; un film che vi consigliamo caldamente di recuperare.
VOTO: 7+

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